La riforma fondiaria


In Italia

Processo storico, economico, politico, urbanistico, sociale, ma anche epopea, dalle conseguenze di lunga durata e dagli esiti ancora dibattuti tra gli studiosi: con il nome di “Riforma fondiaria” o “Riforma Agraria” ci si riferisce al più imponente intervento compiuto dall’Italia Repubblicana, da poco uscita dalla Seconda guerra mondiale, nel Sud Italia. Le leggi di riforma, le cosiddette “Legge Sila” del 12 Maggio 1950 e “Legge Stralcio” del 21 Ottobre 1950, traevano ispirazione dall’art. 44 della Costituzione, che affermava la volontà della Repubblica di produrre, insieme ad un razionale sfruttamento del suolo e alla bonifica delle terre del Centro-Sud, rapporti sociali più equi. 

Nata dall’obiettivo di frantumare il feudo, la concentrazione delle terre nelle mani di pochi proprietari, spesso distanti e poco interessati ai loro “tenimenti”, e re-distribuire la terra a braccianti e contadini, protagonisti attivi di una ineguagliata stagione di lotte per il possesso della terra, la Riforma è stata non solo un intervento profondo di ri-orientamento dell’economia e delle produzioni agricole, ma anche di costruzione delle infrastrutture sino ad allora assenti, talora le prime ad essere realizzate nel Mezzogiorno, la fondazione di vere e proprie comunità-città, e dunque la progettazione di nuovi modi del vivere civile insieme a nuovi centri urbani, e infine un cambiamento non solo nella vita quotidiana degli abitanti delle zone interessate, ma anche nei rapporti sociali, che ruppe consuetudini di servaggio secolari.

Nel metapontino

Il paesaggio e gli assetti urbani e rurali del Metapontino hanno risentito fortemente degli interventi di costruzione, ri-costruzione e risanamento operati dell’Ente per la Riforma Fondiaria, congiuntamente con i Consorzi per la Bonifica ed altri Enti deputati. La costruzione dei nuovi centri e borghi rurali, tra cui i centri di Policoro, Scanzano Jonico, Marconia, così come i villaggi di Macchia di Ferrandina o anche il Borgo Venusio a Matera, sono alcuni dei raggruppamenti urbanistici realizzati dall’azione riformatrice degli anni ’50.

Con la Legge dell’8 Gennaio 1952 il territorio della Riforma di Puglia, Lucania e Molise venne classificato come comprensorio di bonifica di prima categoria, considerata la valenza eccezionale che esso rivestiva ai fini della colonizzazione. Nel territorio lucano, l’impronta più evidente delle opere connesse alla Riforma fu quella impressa sul paesaggio urbano ed agrario della costa Jonica, che ancora oggi conserva la strutturazione dell’appoderamento dei fondi assegnati ai contadini e la rete viaria, secondo molti studiosi ispirata ai sistemi di divisione in lotti attestati nelle colonie magno-greche di Metaponto ed Heraclea (Policoro), il sistema irriguo e le opere di bonifica, la costruzione dei “centri servizi” da cui si sarebbero sviluppate nel tempo le moderne città.

Con il passare degli anni aumenta la consapevolezza del valore storico e della conseguente necessità di salvaguardia e valorizzazione dell’intero impianto costiero, le cui rapide trasformazioni rendono sempre meno leggibili i segni lasciati dal più imponente intervento riformatore della Repubblica nel Sud Italia, e sempre più fragili l’equilibrio paesaggistico ed ambientale che ne derivano.


Policoro

La stagione della Riforma Fondiaria ha trasformato radicalmente il volto dell’area jonica lucana, determinando l’evoluzione del paesaggio così come della vita e dei destini di un’intera generazione. Eppure i segni tangibili lasciati sul territorio dall’azione congiunta di Ente Riforma, Consorzio di Bonifica di Metaponto e Cassa per il Mezzogiorno stanno perdendo le loro specificità architettoniche e paesaggistiche. Se nelle campagne policoresi la maglia poderale definita dal lavoro dei tecnici negli anni ’50 resta pressochè invariata, grosse modifiche strutturali sono state invece apportate alle case coloniche, le celebri “palazzine”, trasformate ora in villette rurali, uffici, magazzini o depositi che conservano poco e nulla dell’originario assetto progettuale.

Come per i borghi rurali della Basilicata, le vestigia della Riforma nel territorio policorese sono sprofondate, in alterne vicende, in una situazione di degrado o di oblio. Le case coloniche, i centri civici di aggregazione e gli edifici scolastici giacciono in uno stato di decadimento oppure, ove vi sia stata una presenza costante di abitanti a scongiurarne l’abbandono, trasformazioni e mutamenti funzionali da parte dei proprietari ne hanno alterato o cancellato le preesistenti caratteristiche: “questi frammenti architettonici oggi rappresentano le strutture in maggior pericolo.. il loro abbattimento o parziale trasformazione potrebbe compromettere totalmente quella visione di tipicità ormai consolidata della campagna lucana”

Lo stesso sta accadendo per piazza Eraclea: i diversi locali hanno perso la loro destinazione originaria di botteghe artigiane o uffici pubblici. L’unica importante eccezione è data dalla biblioteca comunale, polo culturale della città, ospitata al piano nobile del palazzo principale della piazza, in quelli che furono prima i locali degli uffici dell’Ente riforma e successivamente del Municipio. Una condizione tanto più grave per Policoro in virtù del ruolo giocato nel comprensorio provinciale e regionale, in quanto primo Comune a divenire autonomo in zona di Riforma fondiaria su tutto il territorio italiano nel 1959, ruolo che affonda le sue radici in una stagione che sta progressivamente scivolando nell’oblio di abitanti, visitatori e rappresentanti istituzionali.