Data:
Giugno 23, 2021

Quello dell’alimentazione e delle pietanze tipiche a Policoro è un quadro composito, un mosaico costituito dalle diverse tradizioni culinarie locali che i coloni importarono nella città moderna dai Paesi di provenienza, a sua volta risultato di influenze anche delle vicine Regioni, come la Puglia o la Calabria. La Riforma Fondiaria, e le conseguenti trasformazioni agricole, socio-economiche e nello stile di vita ruppero consuetudini alimentari attestate nell’intera Lucania sin dal periodo Post Unitario (fine del 1800), in cui cibo e alimentazione seguivano linee strettamente “di classe”, distinguendo un cibo per i “signori” e un cibo per i poveri. Il regime alimentare di braccianti e contadini, come attestato dalle varie inchieste Parlamentari che si susseguirono nel tempo, era basato sulla pura sussistenza, e sul consumo prevalente di sostanze vegetali e cereali inferiori, con uno scarso consumo di carne, pesce ed altri grassi: lo stesso pane consumato nelle famiglie si distingueva tra pane “bianco”, consumato nelle famiglie agiate, e il pane “nero” dei contadini, composto da minime quantità di grano mischiate ad orzo, granone, patate o addirittura legumi.

La Riforma Agraria, elevando il tenore di vita delle famiglie, contribuisce a migliorarne anche la situazione alimentare; l’impianto di numerosi pastifici per la produzione industriale nel Materano fa sì che la pasta industriale, divenuta simbolo del nuovo benessere, cominci a soppiantare la pasta fatta in casa, ancora oggi presente nelle sue numerose e infinite varietà: frizzuli, strascinati, cavatieddi, rascati, lagane, ricchitelle, venivano preparate con farine di grano duro, acqua e sale, più raramente uova, e accompagnate da verdure, legumi, o condite con il tipico ragù lucano e insaporite da pecorino o cacioricotta.

Gran parte della cucina era imperniata sui prodotti suini: rito-evento eternato anche nella letteratura, l’uccisione del maiale, la cui carne e derivati costituivano l’elemento primario di sopravvivenza, raccoglieva l’intera famiglia. Niente del maiale veniva sprecato, dalla produzione di insaccati dalle parti nobili (prosciutti, soppressate, capicolli) alle parti meno nobili, come il lardo, la cotenna, le interiora, utilizzati per le frittole o la gelatina, fino al sangue, utilizzato per la produzione del dolce sanguinaccio. Dopo la carne suina, la più utilizzata e consumata era quella ovina, che compone le preparazioni tipiche dello “street food” di allora, dei piatti tipici delle fiere, delle feste e dei mercati, come la pastorale, le capuzzelle, le testine di agnello o capretto, e i ghiommarell o involtini di interiora, variamente denominati nei Paesi di provenienza dei coloni.

Legumi e ortaggi, in particolare peperoni, patate e cipolle, preparazioni oggi annoverate tra i contorni, costituivano spesso l’alimento giornaliero dei contadini: dai peperoni secchi fritti o peperoni cruschi, piatto di fama oramai internazionale, ai numerosi e svariati modi di cucinare le olive, nere o verdi, salate ed essiccate al sole, o macerate in acqua e poi condite; i pomodori, allora come oggi in molte famiglie, erano utilizzati soprattutto per preparare la riserva annuale di salsa. 

Tra i cambiamenti più consistenti nell’alimentazione quotidiana portati dal nuovo sviluppo, vi fu l’incremento nel consumo di pesce e di frutta. L’alimentazione a base di pesce non era mai stata particolarmente diffusa nella tradizione locale, nemmeno sulla costa, dove l’alimento più comune erano le alici, protagoniste di svariate preparazioni, dalla frittura alla farcitura, che talora mostrano l’influenza della vicina Puglia; la presenza di una ricca fauna ittica locale condusse invece non solo all’incremento dei consumi ma anche all’avvio di impianti di produzione intensiva del pesce su scala industriale. La rigogliosa produzione frutticola locale ha a sua volta condotto ad un più sano regime nei consumi alimentari delle famiglie, alla nascita di marchi locali di grande richiamo sui mercati nazionali ed internazionali, soprattutto in relazione alla produzione fragolifera, ed alla elaborazione da parte dei cuochi locali di numerose ricette entrate a far parte della tradizione culinaria policorese.